Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 12 ottobre 2015 I l prossimo 14 ottobre il cardinale Loris Capovilla - semplicemente «Don Loris» ancor oggi, per i tanti amici e discepoli - compirà cento anni. Elena Daresi, l'antica collaboratrice del vescovo Gottardi, mi ha raccontato che, quando giovane prete, a 37 anni, nel 1953 era stato scelto dal nuovo patriarca di Venezia Angelo Roncalli, che proveniva dalla nunziatura a Parigi, come suo segretario particolare, qualcuno nella curia veneziana aveva osservato: «Forse non è opportuna questa scelta. Don Loris è molto bravo, ma ha una salute cagionevole?». Il futuro papa Giovanni rispose: «Vorrà dire che eventualmente morirà come mio segretario!». Sono passati 62 anni da allora e «Don Loris» ha accompagnato fedelmente Roncalli per dieci anni sia a Venezia che, come papa, a Roma, ed è arrivato ora alla soglia del secolo di vita, con un corpo ormai ovviamente fragile, ma una mente lucidissima, una memoria straordinaria («è questo il mio computer», osserva scherzosamente, lui che non usa il computer e per tutta la vita ha battuto migliaia e migliaia di pagine sulla sua vecchia macchina da scrivere), una spiritualità sempre capace di aprirsi, rinnovarsi e di non inaridirsi nell'atteggiamento di quei «laudatores temporis acti», già stigmatizzati da Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio Vaticano II. Dopo la morte di papa Giovanni, Capovilla era rimasto alcuni anni in Vaticano a fianco di Paolo VI, che lo aveva nominato anche perito conciliare (il Concilio si concluse nel dicembre 1965) e che poi lo inviò come arcivescovo metropolita a Chieti-Vasto (dove oggi è vescovo il suo amico teologo Bruno Forte), poi come delegato pontificio a Loreto. Compiuti i 75 anni, si è dedicato ancor più intensamente a coltivare la memoria e le memorie di Giovanni XXIII in quella semplice casa-museo di Camaitino a Sotto il Monte, dove lo stesso Roncalli amava ritirarsi nei pochi periodi di pausa, prima di diventare papa. Soltanto superati i 98 anni, nel gennaio-febbraio 2014 il nuovo papa Francesco lo ha «creato» cardinale, con suo grande stupore e immensa commozione per una decisione inaspettata. Infatti, negli anni scorsi, più volte, sulle pagine del «Corriere della sera», lo storico Alberto Melloni, citando Loris Capovilla, aveva aggiunto «che troppi papi hanno perso l'occasione di nominare cardinale». Dopo l'inatteso annuncio all'Angelus del 12 gennaio 2014, commentando le nuove nomine con un corsivo sullo stesso «Corriere della sera» del 13 gennaio, il vaticanista Luigi Accattoli aveva scritto su papa Francesco: «Spariglia i giochi, volta pagina, rimedia ad antiche dimenticanze. Il rimedio lo si è visto con Loris Capovilla, che diviene cardinale a 98 anni compiuti». E lo stesso giorno, su «Il Messaggero», la vaticanista Franca Giansoldati aveva parlato del «riscatto di Loris Capovilla», che arrivava «nell'anno della canonizzazione di papa Roncalli, che sarà proclamato santo il 27 aprile assieme a Giovanni Paolo II», aggiungendo: «Negli anni Settanta, quando era vescovo di Chieti, fu bersagliato di critiche da alcune correnti ecclesiali per il modo in cui si rapportava alla politica». E ancora: «Dopo 40 anni di marginalità, papa Francesco gli rende omaggio con la porpora. Un riconoscimento carico di significato. Perché vuol dire recuperare il senso del pontificato giovanneo, ma anche la sua eredità. Un po' come riprendere il filo del Vaticano II».
E nel discorso che pronunciò in quel giorno solenne, a fianco alle citazioni di tanti pontefici conosciuti nella sua secolare vita, volle ricordare anche un grande giornalista laico, americano, come Walter Lippmann, che, il 7 giugno 1963, sul «New York Herald Tribune» aveva scritto: «Il regno di papa Giovanni è stato una meraviglia, tanto più stupefacente ove si pensi come egli sia riuscito ad essere così profondamente amato in mezzo alle acri inimicizie del nostro tempo. È un miracolo moderno che una persona abbia potuto superare tutte le barriere di classe, di casta, di colore, di razza per toccare i cuori di tutti i popoli. Nulla di simile si era mai avverato, almeno nell'epoca moderna». E ancora più esplicitamente: «Il fatto che gli uomini abbiano corrisposto al suo amore, dimostra che le inimicizie e i dissensi dell'umanità non costituiscono la realtà completa della condizione umana. Sappiamo che il miracolo compiuto da papa Giovanni non trasformerà il mondo; non diventeremo di colpo "uomini nuovi"; ma l'eco universale suscitata da papa Giovanni dimostra che per quanto l'uomo possa essere incline al male, permane in lui un'attitudine alla bontà. Per questo non dobbiamo mai disperare che il mondo possa diventare migliore». Sentimenti analoghi provano oggi, credenti e non credenti, di fronte alla figura e all'opera quotidiana di papa Francesco, che sembra far rivivere alla Chiesa e al mondo la stagione giovannea del Concilio e della «Pacem in terris» nei primi anni '60 come oggi con la «Evangelii gaudium» e l'enciclica sulla ecologia integrale e la conversione ecologica «Laudato si'». Fin dal primo giorno della sua elezione, Capovilla ha vissuto l'arrivo di papa Francesco con gioia, con entusiasmo, che si sono rinnovati e si rinnovano giorno dopo giorno, come spesso mi comunica negli incontri nella sua Camaitino o nelle telefonate: «Hai sentito cosa ha fatto Francesco, hai letto cosa ha detto il papa?». E lui stesso ha affermato con semplicità il 1° marzo, nel ricevere la berretta cardinalizia: «Nutro fiducia sulle sorti del pianeta Terra. Continuo a proporre attenuanti alle colpe dell'umanità, non per inclinazione al vituperato "buonismo", ma per dovere di giustizia temperata dalla misericordia». Quella stessa misericordia che Francesco ha voluto mettere al centro dell'imminente Giubileo. E poi ancora una citazione «laica»: «Mi fa buona compagnia un pensiero, non saprei dire se amaro o realistico, di Hermann Hesse: "Quando uno è diventato vecchio e ha adempiuto la sua parte, il compito che gli spetta è di fare, in silenzio, amicizia con la morte; non ha più bisogno degli uomini, ne ha incontrati abbastanza". Il gomitolo della mia esistenza si è dipanato tra due eventi funebri: la morte di mio padre quando avevo sei anni, di mia madre quando ne avevo sessantanove. Dentro questo spazio splende il transito pentecostale di Papa Giovanni. Pertanto l'angelo della morte mi sta appresso da sempre, e non è uno scheletro con la falce in mano; è un raggio di luce che squarcia le tenebre. La mia ora non può tardare. Ci penso ogni giorno, talvolta con un pizzico di malinconia, e mi dispongo al giudizio senza presunzione e senza timore». Certo, l'ora del congedo estremo arriverà anche per «Don Loris», come del resto per tutti noi. Ma alla vigilia del suo centesimo compleanno, di fronte a quest'uomo ancora così straordinariamente vivo e vitale, che ha accompagnato l'esistenza di tanti amici e discepoli con il suo amore e la sua testimonianza evangelica, giunga dalle pagine de «l'Adige» un augurio commosso, carico di gratitudine e di amicizia. Davvero, «grazie Don Loris».
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MARCO BOATO |
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